skip to Main Content

TRIBUNALE DI ROMA RICONOSCE COME GENERICO IL DOMINIO SMALLBIZ.IT: ROVESCIATA LA DECISIONE DELL’ARBITRO

IL TITOLARE DI MARCHIO ANTERIORE NON RINOMATO NON PUO’ AVANZARE ALCUN DIRITTO SUL RELATIVO DOMINIO AVENTE AD OGGETTO UN TERMINE GENERICO E DI USO COMUNE.

Con sentenza divenuta definitiva (n. 982/2018 del 15.01.2018 nel procedimento n. R.G. 15289/2015), il Tribunale delle Imprese di Roma (Sezione XVII Civile) ha accolto la domanda del titolare del nome a dominio “SMALLBIZ.IT”, assistito dallo studio legale Webelgal, risultato soccombente in esito alla pregressa procedura di riassegnazione (PSRD Studio Legale Tonucci),  statuendo che, in ipotesi di conflitto tra un nome a dominio ed un marchio anteriore di cui, tuttavia, non sia stata validamente provata la rinomanza, la tutela da accordarsi al marchio non può considerarsi come assoluta, ma circoscritta al dettato di cui al primo comma dell’art. 22 c.p.i. ovvero al verificarsi della diversa ipotesi per cui il nome a dominio sia stato registrato in malafede.

Dovrà, quindi, in primo luogo, valutarsi se vi sia effettiva coincidenza o affinità tra i settori di attività delle due società nonché tra le classi di prodotto per cui i segni distintivi sono stati registrati. In proposito, il Tribunale adito ha avuto modo di chiarire che: “per i marchi non rinomati, la prevalenza sul nome a dominio successivo richiede il rischio di confusione tra prodotti o servizi, che a sua volta presuppone lo svolgimento da parte dei rispettivi titolari di attività di impresa identiche o affini”; arrivando, dunque, ad escludere la sussistenza di tali presupposti nel caso di specie.

Quanto, invece, alla residuale circostanza di un presunto comportamento in malafede da parte del titolare del nome a dominio al momento della registrazione dello stesso, il medesimo giudicante ha opportunamente svolto la seguente precisazione: “in generale, il divieto di registrazione in malafede si deve riferire a quelle ipotesi di appropriazione consapevole del segno distintivo che non siano disciplinate da una specifica norma di legge, nelle quali quindi non sia prevista una formale riserva ad altri della registrazione e che pure non risultino irrilevanti per il diritto alla luce dei principi informatori in materia”; facendo, inoltre, espresso richiamo alle ipotesi di malafede previste dall’art. 21.3 del Regolamento CE 874/2004 concernente i domini di primo livello “.eu”. Il Tribunale ha, di poi, puntualizzato in argomento che, in ogni caso, tutte le ipotesi di malafede contemplate dalle norme di riferimento richiedono, quale requisito essenziale perché possa configurarsi una condotta consapevolmente orientata all’appropriazione indebita di un segno altrui, l’accertamento del grado di distintività e di notorietà del marchio anteriore. Perché questo possa dirsi distintivo, deve invero essere tale da permettere di stabilire, nella percezione del pubblico, un nesso biunivoco fra tale espressione verbale ed i beni o servizi offerti dalla titolare del marchio medesimo. Resta, dunque, salva, in via di principio, la regola generale per cui “l’utilizzo come marchio di parole appartenenti al linguaggio comune (omissis) non preclude la prosecuzione dell’utilizzo di tali parole non in funzione distintiva di prodotti ma nel significato loro proprio in ogni forma di comunicazione, e quindi anche nell’ambito della rete”.

La pronuncia in commento risulta, dunque, assolutamente lungimirante ed innovativa sotto una molteplicità di aspetti. In primis, nel delineare con chiarezza e precisione l’ambito di tutela di un marchio non rinomato, che non può in alcun modo estendersi fino a ricomprendere il dettato dell’art. 22, comma secondo, c.p.i.

Allo stesso tempo, offre delle importanti linee guida nell’accertamento della sussistenza dei presupposti per la concessione di una tutela al marchio, rilevando che tale accertamento deve essere svolto necessariamente in concreto, analizzando caso per caso, e non può, viceversa, fondarsi su pure presunzioni.

È stato, peraltro, confermato in essa un principio di diritto ormai noto, per il quale, qualora, nella definizione di una controversia in ambito giudiziale, sorga un conflitto tra le regole di assegnazione del nome a dominio e le norme in materia di tutela della proprietà intellettuale, quest’ultime devono intendersi prevalenti.

Le determinazioni assunte dall’esperto nominato ad esito della procedura di riassegnazione non possono, infatti, influire nelle valutazioni condotte dal Tribunale adito in sede giudiziale, operando unicamente all’interno e nei limiti di suddetta procedura, acquisendo propria ed autonoma efficacia regolatoria dei rapporti tra le parti, solo ove siano state accettate concordemente dalle stesse.

 

Avv. Selena Travaglio

 

Back To Top